domingo, 1 de febrero de 2009

Il mondo salvato dai contadini

di Silvia Pérez-Vitoria
In questi ultimi tempi si è parlato molto di crisi alimentare, di rivolte della fame. Gli esperti, dottamente, si sono messi ad esaminare questa agricoltura che pareva malata. I rimedi erano sempre gli stessi, più investimenti, più tecnologia, più mercato. Andava ricordato loro che è proprio così che si è arrivati a questa agricoltura che distrugge più di quanto non produca; questa agricoltura industriale che compatta e salinizza i terreni, riduce la biodiversità, spreca l’acqua, inquina e non dà abbastanza da mangiare agli abitanti della Terra.Avete notato che i signori esperti hanno tralasciato la cosa più importante, non hanno parlato di coloro che hanno sempre mantenuto la vocazione nutritiva della Terra: i contadini? È stato fatto di tutto per cercare di farli scomparire, questi contadini. Tutti i mezzi erano buoni: politiche economiche, progresso tecnico, devalorizzazione dei saperi, denigrazione. Ed è stato fatto di tutto per trasformare quelli che restavano in coltivatori. Avevano bisogno di trattori, di prodotti chimici per aumentare i rendimenti, di Borse per fissare il prezzo dei loro prodotti. Ma non ci sono riusciti, gli esperti, e i contadini sono ancora la metà dell’Umanità. Vorrei inoltre ricordare di cosa siamo debitori ai contadini:- di aver mantenuto le condizioni che ci permettono ancora di nutrirci- le terre, le semenze, le varietà di piante e animali- della diversità dei paesaggi, della varietà e del buon sapore della frutta e della verdura che mangiamo- di averci trasmesso i valori fondamentali del vivere collettivo, come l’aiuto reciproco, la gratuità e l’autonomia- di aver trasmesso i saperi e le competenze che ci permetteranno, forse, di porre riparo ai danni provocati dall’industrializzazione dell’agricoltura- di essere un polo di resistenza fra i valori che ci travolgono: la corsa al profitto, il consumismo, la concorrenza (la ricerca degli equilibri necessari al mantenimento delle agricolture contadine, l’equilibrio con la natura, negli scambi, con i membri della società, sono punti di forza preziosi)- semplicemente non di esistere ancora, ma di esistere sempre.Posso passare per un’idealista, per una che si rifiuta di vedere le aspre lotte che agitano le campagne: per la terra, per i mercati, per i prezzi. Chi lavora la terra vive nella società di oggi e non può sfuggire alle pressioni che subiamo tutti, è naturale. Ma la sua resistenza è molto reale. In tutto il mondo sono nati dei movimenti contadini. Si chiamano Via Campesina, Movimento dei senza terra in Brasile, Movimento zapatista in Messico, Marcia Janadesh in India: creano reti di semenze, rivendicano le terre per produrvi coltivazioni alimentari, lottano contro gli Ogm, recuperano i saperi e fondano università di agroecologia, si battono per la sovranità alimentare dei loro popoli.PIANTARE I SEMISono tutte questioni che ci riguardano tutti. Di recente è stato realizzata in Norvegia una banca di semenze congelate, pare, per preservarle; ma le semenze sono esseri viventi ed è solo seminandole che possono continuare a riprodursi. Quando la finiremo di distruggere le terre agricole coprendole di autostrade e zone industriali e commerciali sporche e inquinanti? Come possiamo accettare che gli Stati vendano le loro terre alle multinazionali che vi coltiveranno, come vogliono, agrocarburanti o alimenti per chi se li può permettere, mentre i loro popoli non possono nutrirsi adeguatamente? Siamo pronti ad accettare che alcune multinazionali controllino, attraverso i brevetti del vivente, quello che mangeremo? Restiamo indifferenti di fronte alla scomparsa di tre quarti della diversità genetica delle piante coltivate nel corso del ventesimo secolo? Non ci preoccupa un’alimentazione tossica che va a scapito di cibo sano e gustoso? Se vogliamo vivere, abbiamo bisogno dei contadini.Lo scorso ottobre 2008 ho partecipato alla quinta conferenza internazionale di Via Campesina, il primo movimento internazionale contadino, che si è svolta a Maputo, in Mozambico. Erano presenti quasi 600 persone, fra uomini e donne, che rappresentano circa i trecento milioni di contadini di tutto il mondo. Per una settimana hanno riflettuto insieme sul modo di preservare la natura e la biodiversità, di mantenere la maggior varietà possibile di semenze, di lottare contro coloro (multinazionali e Stato) che cercano di distruggerle, di recuperare le terre delle quali vengono defraudati, di rilocalizzare la produzione agricola. E siamo debitori anche per questo loro lavoro, che i poteri dominanti riconoscono solo con l’indifferenza o la repressione. Perché nel mondo si continuano a uccidere i contadini che vogliono continuare a restare contadini. Tendiamo a dimenticare anche questo.Nelle università e nelle scuole di economia, uno dei criteri per misurare lo sviluppo è il basso numero di contadini, a riprova, se ce n’era bisogno, dell’aberrazione di questa nozione di sviluppo. Penso che convenga invertire questa proposizione. Di fatto, più contadini ci sono in una società, più probabilità avrà la società di sopravvivere. Da questo punto di vista, nei nostri Paesi, resta ancora molto lavoro da fare.
Traduzione di Francesca Novajra


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