martes, 8 de septiembre de 2009

Gb: l'auto ecologica che «va a cioccolato»

Una Formula 3 con il motore alimentato da estratti di cacao e la carrozzeria composta di patate
La Formula 3 ecologicaLONDRA - Carote, patate e cioccolato: non sono gli ingredienti di una nuova ricetta ma i materiali utilizzati per assemblare una macchina da corsa di Formula 3 ecologica.
Il bolide, messo a punto dai ricercatori dell'Università di Warwick, a Coventry, dispone di un motore alimentato da estratti di cioccolato, di una carrozzeria composta di patate e fibre vegetali, e di un volante costruito tramite una speciale resina ricavata dalle carote. Il sedile è invece interamente composto di soia. Si tratta della prima macchina da corsa costruita tramite materiali eco-compatibili.
FORMULA 3- L'automobile è in grado di raggiungere la velocità di 217,6 chilometri orari e di accelerare fino ai 96,56 chilometri orari in meno di 2,5 secondi. Per il momento ha un solo difetto: l'inusuale motore non rispetta le regole della Formula 3 che non consentono di utilizzare motori biodiesel. «È stato molto emozionante lavorare sul progetto e costruire un prototipo di macchina ecologica. In questo modo speriamo di dimostrare che è possibile ottenere una buona prestazione anche tramite un motore ecologico», ha commentato il progettista dell'auto James Meredith.

Gb: l'auto ecologica che «va a cioccolato»


Una Formula 3 con il motore alimentato da estratti di cacao e la carrozzeria composta di patate


La Formula 3 ecologicaLONDRA - Carote, patate e cioccolato: non sono gli ingredienti di una nuova ricetta ma i materiali utilizzati per assemblare una macchina da corsa di Formula 3 ecologica.


Il bolide, messo a punto dai ricercatori dell'Università di Warwick, a Coventry, dispone di un motore alimentato da estratti di cioccolato, di una carrozzeria composta di patate e fibre vegetali, e di un volante costruito tramite una speciale resina ricavata dalle carote. Il sedile è invece interamente composto di soia. Si tratta della prima macchina da corsa costruita tramite materiali eco-compatibili.
FORMULA 3- L'automobile è in grado di raggiungere la velocità di 217,6 chilometri orari e di accelerare fino ai 96,56 chilometri orari in meno di 2,5 secondi. Per il momento ha un solo difetto: l'inusuale motore non rispetta le regole della Formula 3 che non consentono di utilizzare motori biodiesel. «È stato molto emozionante lavorare sul progetto e costruire un prototipo di macchina ecologica. In questo modo speriamo di dimostrare che è possibile ottenere una buona prestazione anche tramite un motore ecologico», ha commentato il progettista dell'auto James Meredith.

miércoles, 2 de septiembre de 2009

Cinquant'anni dopo Parigi ha nostalgia di Nouvelle Vague

Truffaut, Godard e gli altri cambiarono per sempre il modo di raccontare storie

Si celebrano il “nuovo cinema” e il mito della Bardot per dimenticare la crisieconomica del presente

Potete scegliere. Una fotografia del generale de Gaulle, nello sguardo come un temporale, di chi deve salvare la Francia insabbiata questa volta in Algeria e ricordarle la rattrappita Grandezza. Oppure il fotogramma di una bionda arcanamente bella, Jean Seberg, che scende gli Champs-Elysées vendendo l’«Herald Tribune». Se volete potete aggiungere anche la maschera birbona di Jean-Paul Belmondo, la sigaretta guasconamente in punta di bocca, che legge, lui, «France Soir». Ecco: l’immagine simbolo, la nascita della quinta Repubblica e l’avvento della Nouvelle Vague. Germogliarono giustamente fianco a fianco. Le svolte gli avvii i gomiti nella storia, nella cultura, nel costume, hanno sempre date incerte, si diluiscono in realtà nel tempo e sfuggono ai contemporanei. Siamo noi, con la fretta dei posteri classificatori che abbiamo bisogno di anni, mesi, giorni, ore. La Nouvelle Vague ha avuto una lunga preistoria, un silenziosissimo avvento. Ma se proprio bisogna scegliere una data è giusto partire da lì: l’anno di «A bout de souffle» di Jean-Luc Godard. Di pochi mesi l’aveva preceduto «I quattrocento colpi» di François Truffaut con il suo sordido appartamento di rue de Clichy, la lavagna dietro cui puniscono un giovanissimo Jean-Pierre Léaud prima del riformatorio e della fuga verso il mare di questo Pel di carota. Film dell’infanzia rifiutata, premio della regia al festival di Cannes del 1959. La cinematografia che raccontava i nuovi costumi della gioventù nascevano, come si vede, senza scandalo, con la fruttifera benedizione delle Istituzioni. Mancava soltanto il nome, la sigla, lo slogan: la trovò genialmente Françoise Giroud, una delle menti del settimanale «l’Express» con un titolo di copertina: la Nouvelle Vague. Suonava bene, restò. Era la prima costruzione mediatica moderna. Anche questo avrebbe fatto scuola. Siamo dunque arrivati al mezzo secolo da allora. Fu certamente un modo nuovo di fare cinema: tecnicamente, usando le camere più leggere e pellicole di nuovo tipo che consentivano di uscire dal «gulag» soffocante degli studi di posa e andare per le strade di Parigi. E questo avrebbe fruttato alla capitale la sua ennesima straordinaria consacrazione, facendo sbiadire le atmosfere dei caffè e delle cantine cogitanti e appassionate dell’Esistenzialismo. Fu, ancora, l’avventura di un gruppo di giovanissimi talenti: Godard Chabrol Truffaut che sognavano una rivoluzione estetica contro il cinema «borghese», che volevano produrre pellicole che costavano poco in cui sfogare la loro voglia creativa. Ma fu soprattutto l’avvento, ancora tenero e incerto, della contestazione che avrebbe fatto un lungo cammino negli anni Sessanta; e l’irrompere di una gioventù percorsa da una corrente ad alta tensione, che voleva lasciarsi alle spalle la guerra, e cambiare il mondo. C’era allora un ministro della cultura che si chiamava André Malraux: quelle facce di giovani sugli schermi gli andavano a genio, servivano a far dimenticare altri giovani francesi con la mimetica e il berretto da parà che nel bled e nella casbah di Algeri scambiavano fucilate, invece, con l’inesorabile irrompere dei tempi nuovi. Si guadagnava tempo, in attesa che il Generale dissolvesse definitivamente quella nube malefica con un geniale inganno. La Nouvelle Vague divise il cinema in due categorie: quello d’autore e quello popolare, una distinzione o una frattura che ne ha assicurato una pericolosa perennità. E anche questo piacque molto a un Paese che cercava nuovi motivi per riaffermare una supremazia culturale rosicchiata dalla Storia. Come per tutte le cose è quello che resta dopo essere passato nel setaccio di mezzo secolo che fa capire quello che vi era di duraturo ed essenziale ciò che invece pende floscio come fili danneggiati dal temporale. C’è una grande foga di anni sessanta in questo 2009: in una Francia angosciata dalla «grippe» e resa fragile dalla crisi aiuta essere nostalgici di una epoca che appare gonfia di tutte le godurie, libera gioiosa e spensierata. I «Sixties» alla francese fanno un figurone come antidepressivo. Compito che svolgerà alla perfezione la grande rassegna dedicata a Brigitte Bardot a Boulogne Billancourt: l’icona indiscussa e indimenticabile degli anni Cinquanta e Sessanta, novecento metri quadri da ammirare percorrere e sognare a partire dal 29 settembre. Ecco: un’altra immagine da mettere in bacheca, l’incedere della biondissima in tailleur blu sotto gli occhi immedusizzati di Jack Palance e Michel Piccoli. Sì: «Le mépris» di Godard, ed era ancora Nouvelle Vague. Ma è sempre e soltanto cinema, in fondo. Eppure fu, a suo modo, un Sessantotto, in anticipo, uno sguardo fresco sulle cose della vita, un sogno di libertà che fece fremere la gioventù di allora. Ma poi venne il Sessantotto, quello vero, che di quelle pulsazioni ormai languidamente al tramonto robustamente si nutrì per spingerle poi a lato e prendere la scena. Il Sessantotto uscì dagli studi di posa, dilagò per le strade, scagliò pietre, fece politica. La Nouvelle Vague invece fece da sfondo a De Gaulle.

Domenico Quirico