viernes, 27 de febrero de 2009

Patti Smith: vi svelo il segreto della mia vita


Ho sempre pensato che il rock sia un linguaggio talmente articolato da permettere a una ricerca spirituale intensa di esprimersi pienamente. Il rock, con il suo battere/levare, con l’andare alla radice del ritmo, è la rappresentazione più potente del corpo e della sua immensa energia. È in questo senso - un senso profondamente «religioso» - che Patti Smith è stata a buon diritto chiamata la «sacerdotessa» del rock. Nel suo sciamanico mettersi in scena, Patti Smith comunica nella maniera più alta - e insieme comprensibile a chiunque - una cosa semplicissima: la celebrazione della vita. E «semplice», del resto, è la parola che lei usa continuamente, come chiave di lettura del mondo. A Milano per presentare il film di Steven Sebring sulla sua vita, risponde alla domande con un’intenzione e un sorriso assolutamente «semplice», «innocente». «La vita è così semplice», dice - e non si può fare a meno di pensare quanto la semplicità sia la cifra mistica per eccellenza, da Paolo di Tarso all’Idiota di Dostoevskij. Il film di Sebring, allora, piace secondo Patti proprio per la sua «semplicità»: perché non è un «rock’n’roll film», ma «è come se dicessi “venite a casa mia”».Un invito immediato, a condividere l’intimità del quotidiano. In questo senso il film rappresenta perfettamente quel che un artista fa: esporre il proprio segreto.Esposizione di sé che non significa evidentemente «esibizione» da rockstar, ma una volontà di condividere con gli altri, di comunicare (e non a caso Pasolini è uno dei numi tutelari di Patti: «La morte sta nel non poter più comunicare») - dove la condivisione è necessità di mettersi a nudo, esporsi al contagio dell’altro. Il segreto della vita, dice Patti, è «semplice». E anzi, l’eroismo vero - oltre i miti, oltre i «grandi uomini» - sta proprio nella semplicità: in coloro che tengono pulite le strade, in coloro che riciclano, in coloro che fanno ogni giorno, nel posto in cui sono, «il meglio che possono». È solo da questo riconnettersi alla profondissima semplicità della vita che risiede la salvezza del mondo.L’INSEGNAMENTO DEL ROCKE allora la riuscita stessa di Obama - la cui bellezza sta nel fatto che è «un uomo molto intelligente ma con la semplicità del buon senso» - può venire solo se avrà il supporto del popolo americano, e del mondo intero. Si tratta per lui, dice Patti, di riscattare «il cattivo esempio che l’America ha dato negli ultimi anni al mondo». Questo lo si potrà fare anche prendendo esempio dal rock: perché il rock insegna a cooperare, a collaborare con gli altri. «Io sono la leader del mio gruppo - dice Patti - ma tra di noi c’è un assoluto senso di uguaglianza: quello che importa nel rock è lo sforzo collaborativo, nient’altro». E il film di Sebring racconta bene queste innumeri collaborazioni di Patti con gli artisti: esemplare anche in questo, nel dichiarare senza paura tutti i suoi debiti, con le persone che hanno fatto parte della sua vita, vive e morte - da Arthur Rimbaud al marito sempre amato Fred Sonic Smith. Con il quale ci lascia, recitando come poesia il testo della sua canzone manifesto, People have the power.
Marco Rovelli

jueves, 26 de febrero de 2009

Guerra abierta en la escena italiana


Baricco abre un polémico debate sobre la subvención estatal de la cultura


La guerra del teatro ha estallado en Italia. El escritor, director y autor teatral Alessandro Baricco abrió fuego el martes con un largo artículo en el diario La Repubblica titulado "El espectáculo ha terminado". El autor de Seda venía a decir que, a la luz de la crisis global actual, la subvención pública de la cultura, ese "río de dinero" resulta un escándalo y un desperdicio inaceptable. "Bajo la lente de la crisis económica, todo arderá, y mucho más rápido de lo que se cree". Y termina: "El mercado es hoy ya suficientemente maduro y dinámico como para poder funcionar solo".

Y abrió, claro, la caja de los truenos. A muchos niveles. Sus frases lapidarias dan en la diana y son fácilmente extrapolables a otros países del entorno europeo. Acaso muchos suscribirían frases como "en estos tiempos de crisis no se puede seguir pensando que toda la cultura sea financiada con fondos públicos". Las cifras que aparecen en los cuadros que complementan el artículo y reflejan el dinero que el Estado da al cine y a las artes escénicas son de vértigo (378 millones de euros en 2009). Mejor sería, dice Baricco, destinarlo a la formación progresiva del público, "es hora de dar un impulso a escuela y televisión".
El director de orquesta Riccardo Muti (ex director musical de La Scala de Milán) y el cineasta y director operístico y de teatro Franco Zeffirelli no han dudado en apoyar al escritor. Ayer, de nuevo en La Repubblica, el primero clamaba por la urgente necesidad de los elementos formativos, las escuelas, y el uso racional de la televisión. El segundo sentenciaba: "Finalmente alguien dice lo que vengo predicando desde hace más de 15 años: el Estado debe separarse de la actividad cultural como en los países verdaderamente democráticos, como Estados Unidos". Y con la ironía que le caracteriza, acentuó: "Ya lo ha dicho Baricco, al menos la mitad del dinero que el Estado da al teatro va a los parásitos que pueblan tanto el Ministerio de Finanzas como el del espectáculo".
Desde un ángulo muy distinto ven las tesis de Baricco el premio Nobel y gran hombre de teatro Dario Fo o Sergio Escobar, el nuevo director del Piccolo Teatro de Milán (primero entre los escenarios públicos financiados por el Estado italiano). Fo recela: "Se necesitan regulaciones transparentes por respeto al público". Pero casi airado añade: "Sobre la financiación de la cultura no se discute, sobre todo porque en Italia el porcentaje del PIB que se da a la cultura [0,16] es 10 veces inferior a la media europea [1,4]". Escobar dice: "No quiero polemizar, pero las tesis de Baricco son excluyentes". El director cinematográfico Paolo Sorrentino (realizador de Il divo) no apoya al escritor, pero matiza cuando expresa que se acerca a las tesis de Baricco de cambiar los objetivos culturales hacia la escuela y la televisión.
Los políticos también han saltado a la palestra, tanto desde la desconcertada y casi descompuesta izquierda como del ático berlusconiano. Baricco ha puesto el dedo en la llaga. Al final del artículo concluía: "Parece un problema técnico, pero es sobre todo una revolución mental. Los frenos son ideológicos, no prácticos. Parece una utopía, pero la utopía está en nuestras cabezas: no hay un sitio donde sea más fácil hacerlas realidad".
di ROGER SALAS -

Matite in fuga: i disegnatori italiani volano in America


«Italians do it better». Il motto vale anche per il mondo del fumetto. Tanto che, negli ultimi mesi, è in corso una vera fuga di cervelli - o di matite, se volete - che ha spostato alcune decine di giovani disegnatori del nostro Paese alla corte di Marvel e Dc, i colossi statunitensi dell’industria dei comics. Quelli dell’Uomo Ragno e di Batman, per capirci.EMIGRANTI CREATIVIUn’emigrazione creativa, non fisica, nel senso che le nuove tecnologie e la velocità dei collegamenti permettono ai disegnatori di starsene a casa propria, se non per partecipare a mostre o incontri, come l’annuale convention di San Diego. Intendiamoci, le menti creative nostrane sono sempre state apprezzate all’estero, anche in passato. Basti pensare al rapporto privilegiato della Francia con maestri come Vittorio Giardino e Milo Manara. Ma qui il fenomeno ha caratteristiche ben diverse. Innanzitutto perché si tratta di autori trentenni che, spesso, sono arrivati al successo (e, un po’ paradossalmente, ad ottenere incarichi in Italia) proprio grazie agli albi americani. Poi perché, seppur inizialmente sconosciuti, sono stati lasciati liberi di portare il proprio stile - in molti casi ben lontano dai tradizionali canoni statunitensi - su vere e proprie icone dei comics come Spiderman, gli X-Men e Devil. Fatto sta che, su 24 disegnatori selezionati da C.B.Cebulski, editor della Marvel Comics che ha effettuato un tour in vari paesi europei (e quest’anno torna a Mantovacomics), la metà sia italiana. E i frutti del lavoro cominciano a vedersi: basta scorrere in rassegna le uscite degli ultimi mesi, per notare nei credits nomi chiaramente nostrani. A partire dalle illustrazioni di copertina, come l’oscuro Batman di Simone Bianchi, i dipinti di Gabriele Dell’Otto sui Vendicatori e gli X-Men della new entry Mario Alberti.UNO STILE UNICOLa chiave di questo successo va ricercata proprio nell’unicità dello stile di questi giovani disegnatori, che uniscono la dinamicità del disegno made in Usa (meno vincolato alla classica «gabbia» delle vignette bonelliane) a una tecnica e una freschezza superiore alla media. Un gusto «europeo» che, probabilmente, permette un lavoro maggiore di introspezione sui personaggi, senza sacrificare l’azione o la composizione delle tavole. Poi c’è anche un discorso economico da fare. Se è vero che il crollo del dollaro al cambio internazionale ha «tagliato» gli stipendi dei disegnatori europei, è anche vero che il livello di entrata di un giovane che viene scelto dai colossi Usa è comunque un po’ più soddisfacente della media italiana. Diciamo tra i 150 ai 300 dollari a tavola come «livello d’entrata», per poi crescere a cifre molto più alte man mano che l’artista si afferma.IL PARERE DEI DISEGNATORIE poi, spiega Giuseppe «Cammo» Camuncoli, che è stato uno dei capostipiti di questa ondata di disegnatori (è dal 2000 che collabora Oltreoceano), anche se non esiste l’assunzione a tempo indeterminato «diciamo che il lavoro non manca. E, se piaci, te lo assicurano per diversi anni». Secondo Camuncoli, cresciuto a pane e fumetti anglo-americani, «gli editor Usa sono un po’ più aperti ad accettare uno stile più personale, mentre in Italia è richiesto, legittimamente, uno stile più classico». Insomma, chiosa Antonio Fuso, uno dei giovanissimi selezionato al Chesterquest, «se in Italia l’unico modo per campare di questo lavoro sono la Bonelli e forse l’Eura, negli Stati Uniti, qualche possibilità in più c’è. Inoltre, una volta stabilito che fai per loro, fanno di tutto per renderti la vita più facile e interferiscono in modo nullo sul tuo lavoro».Ultimamente, però, qualcosa sta cambiando, se è vero che Camuncoli - come ha fatto nei mesi scorsi Carmine Di Giandomenico, autore di Magneto Testament, che racconta di un inquietante bambino con poteri speciali in un lager nazista - sta lavorando ora sul Dylan Dog (a colori). «Un onore», chiosa il disegnatore. Infine, per Dell’Otto, copertinista e illustratore esploso prima in Germania e Francia, poi negli Usa e solo negli ultimi anni in Italia («Nel 2003, alla mostra di Lucca, mi riconoscevano in pochissimi...»), è anche una questione culturale: «Pur con tutta l’arte e la tradizione che abbiamo in Italia, il fumetto è sempre stato relegato in una nicchia. Ma da un po’ di tempo il vento è cambiato...».Non solo cervelli in fuga, anche i «balloon» volano in America: decine di giovani fumettari italiani partono alla volta della corte dei colossi statunitensi Marvel e Dc Comics.
Matite in fuga: i disegnatori italiani volano in Americadi Andrea Bonzi
«Italians do it better». Il motto vale anche per il mondo del fumetto. Tanto che, negli ultimi mesi, è in corso una vera fuga di cervelli - o di matite, se volete - che ha spostato alcune decine di giovani disegnatori del nostro Paese alla corte di Marvel e Dc, i colossi statunitensi dell’industria dei comics. Quelli dell’Uomo Ragno e di Batman, per capirci.EMIGRANTI CREATIVIUn’emigrazione creativa, non fisica, nel senso che le nuove tecnologie e la velocità dei collegamenti permettono ai disegnatori di starsene a casa propria, se non per partecipare a mostre o incontri, come l’annuale convention di San Diego. Intendiamoci, le menti creative nostrane sono sempre state apprezzate all’estero, anche in passato. Basti pensare al rapporto privilegiato della Francia con maestri come Vittorio Giardino e Milo Manara. Ma qui il fenomeno ha caratteristiche ben diverse. Innanzitutto perché si tratta di autori trentenni che, spesso, sono arrivati al successo (e, un po’ paradossalmente, ad ottenere incarichi in Italia) proprio grazie agli albi americani. Poi perché, seppur inizialmente sconosciuti, sono stati lasciati liberi di portare il proprio stile - in molti casi ben lontano dai tradizionali canoni statunitensi - su vere e proprie icone dei comics come Spiderman, gli X-Men e Devil. Fatto sta che, su 24 disegnatori selezionati da C.B.Cebulski, editor della Marvel Comics che ha effettuato un tour in vari paesi europei (e quest’anno torna a Mantovacomics), la metà sia italiana. E i frutti del lavoro cominciano a vedersi: basta scorrere in rassegna le uscite degli ultimi mesi, per notare nei credits nomi chiaramente nostrani. A partire dalle illustrazioni di copertina, come l’oscuro Batman di Simone Bianchi, i dipinti di Gabriele Dell’Otto sui Vendicatori e gli X-Men della new entry Mario Alberti.UNO STILE UNICOLa chiave di questo successo va ricercata proprio nell’unicità dello stile di questi giovani disegnatori, che uniscono la dinamicità del disegno made in Usa (meno vincolato alla classica «gabbia» delle vignette bonelliane) a una tecnica e una freschezza superiore alla media. Un gusto «europeo» che, probabilmente, permette un lavoro maggiore di introspezione sui personaggi, senza sacrificare l’azione o la composizione delle tavole. Poi c’è anche un discorso economico da fare. Se è vero che il crollo del dollaro al cambio internazionale ha «tagliato» gli stipendi dei disegnatori europei, è anche vero che il livello di entrata di un giovane che viene scelto dai colossi Usa è comunque un po’ più soddisfacente della media italiana. Diciamo tra i 150 ai 300 dollari a tavola come «livello d’entrata», per poi crescere a cifre molto più alte man mano che l’artista si afferma.IL PARERE DEI DISEGNATORIE poi, spiega Giuseppe «Cammo» Camuncoli, che è stato uno dei capostipiti di questa ondata di disegnatori (è dal 2000 che collabora Oltreoceano), anche se non esiste l’assunzione a tempo indeterminato «diciamo che il lavoro non manca. E, se piaci, te lo assicurano per diversi anni». Secondo Camuncoli, cresciuto a pane e fumetti anglo-americani, «gli editor Usa sono un po’ più aperti ad accettare uno stile più personale, mentre in Italia è richiesto, legittimamente, uno stile più classico». Insomma, chiosa Antonio Fuso, uno dei giovanissimi selezionato al Chesterquest, «se in Italia l’unico modo per campare di questo lavoro sono la Bonelli e forse l’Eura, negli Stati Uniti, qualche possibilità in più c’è. Inoltre, una volta stabilito che fai per loro, fanno di tutto per renderti la vita più facile e interferiscono in modo nullo sul tuo lavoro».Ultimamente, però, qualcosa sta cambiando, se è vero che Camuncoli - come ha fatto nei mesi scorsi Carmine Di Giandomenico, autore di Magneto Testament, che racconta di un inquietante bambino con poteri speciali in un lager nazista - sta lavorando ora sul Dylan Dog (a colori). «Un onore», chiosa il disegnatore. Infine, per Dell’Otto, copertinista e illustratore esploso prima in Germania e Francia, poi negli Usa e solo negli ultimi anni in Italia («Nel 2003, alla mostra di Lucca, mi riconoscevano in pochissimi...»), è anche una questione culturale: «Pur con tutta l’arte e la tradizione che abbiamo in Italia, il fumetto è sempre stato relegato in una nicchia. Ma da un po’ di tempo il vento è cambiato...».Non solo cervelli in fuga, anche i «balloon» volano in America: decine di giovani fumettari italiani partono alla volta della corte dei colossi statunitensi Marvel e Dc Comics.
di Andrea Bonzi

viernes, 13 de febrero de 2009

Cancro, un test dice chi guarisce




Il risultato utile per selezionare le cure del tumore al colon retto

TORINONonostante i tagli, la ricerca italiana è in grado di togliersi ancora qualche soddisfazione. La buona notizia arriva dall’Istituto per la ricerca e cura dei tumori di Candiolo, dove Alberto Bardelli, professore universitario e direttore del laboratorio di genetica molecolare, ha annunciato la scoperta di un nuovo test molecolare, il «Kras», per valutare l'efficacia delle cure contro il tumore al colon-retto. Il terzo per diffusione nel mondo, un killer da 212 mila morti e un milione di nuovi casi all’anno in Occidente, di cui 35 mila in Italia. Il test, già approdato alla fase clinica e realizzato in collaborazione con Salvatore Siena, direttore oncologo dell’ospedale Niguarda di Milano, consente di conoscere con certezza su quali pazienti colpiti da metastasi funziona la cura più avanzata, a base di anticorpi monoclonali (Cetuximab e Paritumumab), in grado di aumentare di due anni la speranza di vita. Fino a pochi mesi fa si sapeva soltanto che nella maggior parte dei casi l’esito era negativo, mentre il 15 per cento dei malati rispondeva molto bene. Ora, prima di sottoporre i pazienti a cure invasive e costose (un singolo trattamento costa fino a 30 mila euro, mentre il test solo 220: è stato calcolato che solo negli Usa la scoperta farà risparmiare 700 milioni di dollari l’anno), è possibile individuare prima di procedere i casi in cui la terapia sicuramente non avrà successo, circa la metà. I ricercatori hanno scoperto che la cura non dà risultati quando la cellula tumorale presenta una mutazione del gene «Kras» o «Braf» e hanno messo a punto la procedura per scoprire quando è presente. Il test, la cui validità è stata riconosciuta dall’Agenzia europea per i medicinali e dall’Associazione degli oncologi americani, è già obbligatorio e il centro di Candiolo (dove oggi e domani si tiene un corso per i medici del Nord Italia) è stato indicato dall’Associazione italiana medici oncologi e dalla Società italiana anatomo-patologi come centro di riferimento in Italia, cui tutti gli ospedali potranno inviare campioni per la verifica della corretta procedura di analisi del Dna. «Questo è il frutto di due anni e mezzo di lavoro» ha spiegato Bardelli, la cui équipe è formata da undici ricercatori precari, che guadagnano da 1.000 a 1.500 euro al mese. «In futuro speriamo di estendere la cura anche in prima linea, ai pazienti senza metastasi».
di JACOPO D'ORSI

Una penna grottesca e kafkiana per il povero Benjamin Button

Una penna grottesca e kafkiana per il povero Benjamin Buttondi Sara Antonelli
Cosa avrà spinto un regista «tosto» come David Fincher a cimentarsi con questo straordinario racconto di Fitzgerald? La risposta la troviamo anche in questa straordinaria edizione illustrata edita da Donzelli... Quando nel 1922 pubblica Il curioso caso di Benjamin Button, Francis Scott Fitzgerald è ancora un giovane e promettente scrittore. Oltre ai Racconti dell'età del Jazz – di cui fa parte anche Benjamin Button - ha già firmato Di qua dal Paradiso (1920) e sta per accingersi al romanzo che l'avrebbe consacrato agli occhi della critica, Il Grande Gatsby (1926). Oltre a ragioni filologiche, torniamo a rileggere Benjamin Button non solo per chiederci cosa avrà spinto il regista dei feroci Seven e Fight Club a misurarsi con le atmosfere rarefatte dell'età del jazz, ma per l'intrinseca ricchezza di un racconto che oggi possiamo apprezzare anche in un'edizione rivelatrice come quella illustrata da Calef Brown, appena uscita per Donzelli. Fin dalla copertina, che ritrae un uomo uomo calvo e accigliato, le cui gambe e barba lunghissime fuoriescono goffamente da una carrozzina, questo esile volumetto suggerisce magistralmente l'originale combinazione di toni, il malinconico e il grottesco, che caratterizza il racconto. Il resto delle tavole - con qui colori sgargianti, la profusione di oggetti sospesi in aria, l’attenzione ossessiva e ripetuta al dettaglio, anche anatomico, e, infine, la predilezione per i piani inclinati – ne connota invece l'assurdità di una trama segnata da un equilibrio improbabile come un quadro di Marc Chagall, ma graffiante come un racconto di Mark Twain.Dal suo predecessore più diretto, Fitzgerald trae non solo lo spunto narrativo dell'uomo che ringiovanisce invecchiando, ma specialmente l’abilità di sfruttare in rapida successione una manciata di trucchetti apparentemente «facili», quali lo scambio di destini, l’uso di maschere e camuffamenti e l'alternanza di episodi paradossali e inspiegabili. A organizzare tanta effervescenza troviamo, in Fitzgerald, una narrazione misurata che consente ai lettori di scivolare indisturbati da un’epoca all'altra semplicemente inseguendo le orme rovesciate di un personaggio asincrono, ovvero di chi è costantemente fuori luogo e fuori tempo (balla benissimo, ma impara a farlo nel momento sbagliato), e per questo ragione invariabilmente impegnato a non deludere le attese gli altri. E così, pur essendo un personaggio votato all'azione, il racconto ci presenta un Benjamin Button sempre colto nello sforzo di convincere, spiegare, negoziare e infine adattarsi - in verità sempre con successo - ai desideri di chi gli sta accanto. Nonostante ciò, nonostante dia prova di essere malleabile e plastico come lo Zelig di Woody Allen, egli resta tuttavia incorreggibilmente diverso.QUASI KAFKAMaterializzando l’irruzione metafisica, quasi kafkiana, della diversità in una comunità apparentemente virtuosa e compatta, Benjamin Button è una parabola sul conformismo (mancato) e sul destino «curioso» di chi, come Dorian Gray, si guarda allo specchio per trovarvi riflesso un uomo ogni volta più giovane, ma sempre straniero. Diversamente da quel che lascerebbe intendere il titolo, però, Benjamin Button non è una curiosità da baraccone, bensì la biografia di un mostro capace di evocare paure ancestrali. È sia il neonato nero che l’aristocrazia del sud statunitense teme sempre di trovarsi colpevolmente a partorire, sia lo straniero per eccellenza: l’ebreo errante, vecchio e solo; quello che seduce surrettiziamente la vergine innocente e che dimostra un inspiegabile fiuto per gli affari; il beniamino del signore al contempo l’eterno rinnegato. Si può essere più tragici e sradicati di Benjamin Button?
di Sara Antonelli

martes, 10 de febrero de 2009

È una favola la cucina da piccoli


Pare un bollettino di guerra! In realtà, fra inchieste allarmate e statistiche non provate con cifre da capogiro circa bambini e bambine sull’orlo di anoressia, bulimia, vomito autoindotto, e via dicendo, non ci resta che guardarsi meglio intorno e convenire col socratico Winnicott che «per fortuna la maggioranza dei bambini non soffre di disturbi alimentari!» E diciamo pure, da subito, che i bambini non si «alimentano» bensì mangiano, perché mangiare è una parola saporita, piena di rimandi sentimentali e senza ipocrisia: esattamente come sono i bambini. È vero però che da sempre ci sono i bambini mangioni, oppure quelli inappetenti, come pure quelli schizzinosi o quelli che mangiano senza farci caso, o ancora i bambini che si strappano i capelli di fronte a una foglia di insalata e quelli che serrano la bocca di fronte al burghul o alla pasta «in rosso». E vero rimane che i genitori, in bilico fra il desiderio di ingozzarli come oche di Strasburgo e di obbedire ai moderni dettami della snellezza-glamour, e soprattutto intrisi di una cultura consumistica che ha reificato il cibo a ulteriore merce di scambio affettivo, continuano a dimenarsi fra gli annosi quesiti di come sfamare i propri figli senza ingrassarli, nutrirli senza stressarli e prevenire nasi arricciati.FROLLA E SFOGLIACondividere allora l’arte del cucinare, divertirsi a mescolare con le mani, spianare, dar forme alla frolla o alla sfoglia, tramandare le ricette di casa, aprirsi grazie a cibi esotici ad altre terre e culture, rivalutare in tempi di dura «crisi» la misura, la sobrietà, l’oculatezza di una cucina che gioca a far polpette con gli «avanzi», sono alcuni dei nuovi imperativi pedagogici per tanti genitori seguaci di Pellegrino Artusi!Ma soprattutto - sostiene Roberta Schira nel suo delizioso Cucinoterapia (Salani, pp.123, euro 11) - sarà bazzicando la cucina, fra mestoli, casseruole, frullini e fantasia, che i bambini vivranno l’alchimia della trasformazione della materia alimentare attraverso uno stare insieme un po’ magico, e acquisiranno ricordi sensoriali indelebili. Dalle madeleine di Proust al ratatouille del cupo Ego, nel cartone di Brad Bird (Ratatouille), molte altre esperienze raccontano di un cibo che consola e rassicura, di un cibo che sa di casa, di infanzia e di coccole, di mamma e di nonna. Il proprio comfort food, lo appellano gli americani, la giusta strada per trovare il «cibo dell’anima».Di sicuro, poi, scoprire storie e eroi sotto i coperchi è un’attività gradita: Kim (di Kipling) riempiva la ciotola con sughi di molte etnie e condiva il riso con salse di varie religioni, mentre Tom e i suoi amici (di Gozzano), partiti per diventare pirati, si trasformarono ben presto in cuochi, comprendendo che la vera liberazione dalle zie e dalle mamme non consisteva nello scambiarsi finte sciabolate, ma nel friggere uova e prosciutto in padelle veritiere! Armeggiare in cucina, dunque, studiare l’algebra o la geografia fra un battuto di cipolle e la ripulitura a dita della ciotola di crema, sono impagabili «momenti d’essere».Perché l’atto stesso del mangiare è un fitto crocevia in cui convergono sensazioni ed emozioni del corpo, della mente e del cuore, che non si possono ridurre a semplici formule nutrizionali, spiega in maniera allegra e convincente Patrizia Bollo nel suo Mangiagiocando (Salani, pp.159, euro 11). Avviare i bambini a un rapporto sano e gustoso col cibo, parte proprio da lì dalla cucina, giocando e divertendosi in quel laboratorio casalingo che oggigiorno, in verità, è spesso invaso da prodotti pre-cucinati o da tristissimi cibi salutisti, funzionali solo a evitare il rischio di ammalarsi!PROFUMIUrgente diviene ritrovare l’aroma del sugo che si diffonde dal tegame, risvegliare ai sensi il gusto della vita, mangiare anche una semplice mela come una nuova esaltante esperienza estetica: toccandola, annusandola, assaporandola. Col cibo si può, parafrasando Calvino, costruire un sogno senza rifugiarsi nell’evasione, perché è di un impegno fattivo che comunque si parla. Prova ne siano i profumati e succulenti laboratori di cucina su muffins, pane, brioches e torte decorate in programma all’edizione Minimondi 2009 (Parma 14 febbraio-8 marzo, www.minimondi.it). Imperdibili.

di Manuela Trinci

sábado, 7 de febrero de 2009

Turismo, cresce l’Abruzzo verde

PESCARA.

L’Abruzzo verde è sempre più gettonato dai tour operator e dai vacanzieri italiani e stranieri. Lo ricorda il sesto rapporto Ecotur, anticipato ieri. Secondo il rapporto, stilato dall’ente in collaborazione con l’Enit, l’Istat, l’Università degli Studi dell’Aquila e la Regione Abruzzo, i parchi abruzzesi sono al terzo posto tra quelli più richiesti dagli operatori italiani del settore, dietro le Cinqueterre, le Dolomiti bellunesi e il parco del Vesuvio. Inoltre il Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise è il parco che nel 2008 e nelle previsioni del 2009 ha registrato il maggior incremento di richieste, seguito per gradimento dalle Foreste casentinesi, dal Pollino, dal Gran Paradiso e dalle Cinque Terre.Un buon risultato per la regione che punta sempre di più a incrementare il Pil prodotto dal settore turistico, di cui Ecotur è una vetrina imprescindibile (il prossimo appuntamento è a Montesilvano il 18 e 20 aprile).Il Rapporto Ecotur da questa edizione analizza nello specifico una delle nuove motivazioni di vacanze all’interno del più ampio comparto “vacanza natura”, con un capitolo interamente dedicato ai “Borghi più Belli d’Italia”. Una realtà turistica innovativa, molto presente in Abruzzo, che al suo interno soddisfa anche il turista che si muove per conoscere l’enogastronomia e la cultura di un territorio.Un business sempre più grosso che occorrerà intercettare, soprattutto con l’affacciarsi nel mercato di nuovi paesi. Basti considerare queste cifre: i turisti in viaggio da un Paese all’altro nel 2020 saranno 1,5 miliardi, per un numero di pernottamenti tra alberghieri ed extralberghieri di circa 6 miliardi di notti dormite ed un giro d’affari planetario di almeno 1.300 miliardi di Euro. Questo secondo le previsioni Confturismo-Confcommercio, che oggi e domani a Torino organizzano la Conferenza Internazionale sul turismo: «Destinazione Italia 2020».Intanto per incrementare il turismo dell’oggi diverrà operativo entro aprile il sistema buoni-vacanze e le famiglie al di sotto dei 35mila euro di reddito annuo potranno usufruire del buono tutto l’anno ad eccezione dei mesi di luglio, agosto e del periodo natalizio. Il tetto di spesa varia dai 500 ai 1.250 euro ed il contributo varia dal 20 al 30 al 45%. Lo ha comunicato il Dipartimento per il Turismo. I buoni potranno essere ritirati presso la rete delle banche convenzionate con il sistema buoni-vacanze Italia, istituito da Fitus e dalle associazioni delle imprese turistiche. I cittadini interessati dovranno presentare un’autocertificazione che indichi reddito familiare, composizione del nucleo familiare e la quantità di buoni che si vuole utilizzare. I moduli per l’autocertificazione saranno inviati a tutta la rete delle associazioni del turismo sociale. Si stima che potranno usufruire del sistema dalle 22mila alle 25mila famiglie, che potranno scegliere i luoghi di villeggiatura sul catalogo del Buono Vacanza, dove verranno indicati i tour operator associati all’iniziativa. Gli alberghi convenzionati attueranno uno sconto medio del 20% e i 5milioni di euro investiti attiveranno, secondo una stima del Dipartimento, 15-16milioni di spesa.


viernes, 6 de febrero de 2009

Il blu aumenta la creatività

Sono dipinte di blu le pareti dell’ufficio perfetto per creativi, pubblicitari e inventori. I colori, infatti, influenzano le performance cognitive, e sembra proprio che il blu migliori la capacità di pensare in modo creativo. Il rosso, invece, aumenta l’attenzione ai dettagli. Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori dell’University of British Columbia (Canada) e pubblicato su “Science”, con importanti implicazioni per pubblicitari ed esperti di marketing. «Precedenti ricerche avevano collegato sia il blu che il rosso a una migliore performance cognitiva, ma non si capiva quale dei due colori avesse l’effetto maggiore - spiega Juliet Zhu, autrice della ricerca - In realtà, tutto dipende dalla natura del compito». Tra il 2007 e il 2008 i ricercatori canadesi hanno monitorato oltre 600 volontari, impegnati in sei test cognitivi che richiedevano una particolare attenzione ai dettagli o una spiccata creatività. Esaminando le reazioni dei soggetti a schermi rossi, blu e bianchi, si è visto che il colore del fuoco migliora i risultati dei test “di precisione” o basati su ricordi dettagliati del 31% rispetto al blu. Mentre per i compiti più creativi gli ambienti tonalità del mare spingono a risultati due volte più brillanti. Queste variazioni, secondo la studiosa, sono causate da «differenti stimoli attivati in modo inconscio dal rosso e dal blu». Ma che vuol dire? «Ad esempio, grazie ai segnali di stop, ai lampeggianti delle ambulanze e alle penne rosse di maestre e professori noi associamo il rosso a pericolo, errori e cautela - spiega la Zhu - dunque questo colore ci rende più vigili e ci aiuta a svolgere compiti in cui è necessaria una particolare attenzione e precisione». Il blu, al contrario, ci fa pensare fuori dagli schemi. In questo caso la spiegazione è collegata all’associazione «con cielo, oceano e acqua - spiega la studiosa - quindi ad apertura, pace e tranquillità. Stimoli positivi che fanno sentire la gente abbastanza al sicuro per essere creativa ed esplorare nuove possibilità. Non a caso, spesso - aggiunge - il blu è il colore preferito delle persone». Non solo. Gli studiosi hanno indagato anche sull’effetto dei colori sui consumatori, scoprendo che quando lo sfondo di una confezione è rossa le persone sono più inclini a giudicare in modo positivo un prodotto se il messaggio pubblicitario punta su specifici dettagli.Mentre nel caso del blu la reazione migliore è a una pubblicità evocativa e creativa. In pratica i consumatori sono più ricettivi a un nuovo marchio di dentifricio che sfoggia messaggi negativi, tipo “previene la carie”, se la confezione ha uno sfondo rosso, mentre se la pasta ’regala un sorriso candidò l’ideale è puntare sul blu.

jueves, 5 de febrero de 2009

Neuroni "coltivati su un chip al silicio

LONDRA

Coltivati, per la prima volta al mondo dei neuroni su un chip al silicio. L’annuncio arriva da un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo (Scozia) che sono riusciti a modellare il chip permettendo ai neuroni (le cellule che costituiscono la base del sistema nervoso e del cervello) di crescere all’interno di strutture lineari. Questo ha permesso loro di creare delle vere e proprie connessioni tra le cellule nervose e lo stesso chip. Secondo i ricercatori questa integrazione potrebbe portare allo sviluppo di nuove forme di protesi e a sostituire, in futuro, nervi lesionati con chip integrati da neuroni.«Il nostro - ha spiegato Alan Murray, direttore della Edinburgh University’s School of Engineering and Electronics - è un primo piccolo passo verso la creazione di impianti chirurgici a base di chip al silicio».

miércoles, 4 de febrero de 2009

É iniziato con i migliori auspici l'anno 2009 per la FEDERAZIONE DELLE ASSOCIAZIONI ABRUZZESI IN VENEZUELA.

La prima Assemblea che si é svolta sabato 31 gennaio, presso il Centro Italo-Venezuelano della cittá di Merida, é andata oltre le aspettative. Grazie all'eccellente organizzazione dell'Associazione andina, guidata dalla Presidente Prof.ssa Milena Agostinelli, la giornata che é stata offerta alle dieci delegazioni giunte da ogni parte del Paese rimarrá indelebile nelle nostre menti e nei nostri cuori. La docente universitaria ha saputo coinvolgere enti ed istituzioni che hanno collaborato con generositá e squisitezza con l'evento.

La sorpresa é iniziata dal mattino, quando la Governazione dello Stato Merida ha messo a disposizione dei convenuti due autobus per il trasporto dei delegati dall'albergo al Centro Italo Venezuelano, scortati da agenti motorizzati. Lí eravamo attesi dal Presidente Vincenzo La Rocca, il quale ha allestito un salone munito di internet e megaschermo. Sui tavoli, ogni partecipante trovava depliants e gadget di Cormetur (Corporazione meridegna di turismo) sulle bellezze storico-paesaggistiche della Regione, e libri e filmati a cura dell'Universitá di Los Andes (ULA). Presente all'incontro anche il presidente del Centro Culturale Italiano di Merida, Sergio Ranieri.

Dopo i saluti del Presidente della Federazione Giovanni Margiotta ed i ringraziamenti per la massiccia partecipazione di tutte le Associazioni che la compongono, il Dirigente Scolastico presso il Consolato di Maracaibo, Prof. Vincenzo Spezza, in rappresentanza delle massime autoritá italiane presenti sul territorio, ha letto i messaggi di auguri dell'Ambasciatore d'Italia in Venezuela Dr. Luigi Maccotta e del Console di Maracaibo Dr. Ivo Polacco, i quali hanno elogiato l'opera della Federazione, affermando che é sicuramente la piú attiva in Venezuela. Il Prof. Spezza poi ha dissertato sull'Abruzzo, parlando dei suoi dialetti e con una spolverata di storia e geografia che ha accattivato tutti i presenti.
Alla riunione ha voluto partecipare il rettore dell'ULA Mario Bonucci per un saluto, al quale il Vice Console Dr. Lorenzo Morello ha affidato il compito di leggere il giuramento della Giunta Direttiva dell'Associazione Civile Abruzzesi dello Stato Merida.
Si é proceduto con le informazioni da parte del Presidente Margiotta, il quale ha annunciato ufficialmente la nascita della decima Associazione Abruzzese del Distrito Bolivar dello Stato Zulia, con sede in Cittá Ojeda, che raccoglie i corregionali della Costa Orientale del Lago. La Prof.ssa Anna Colaiuda, neo presidente del costituendo sodalizio, ha partecipato alla riunione con una nutrita rappresentanza. Altro annuncio, il rinnovo del Consiglio Direttivo dell'Associazione Abruzzese del Municipio José Rivas dello Stato Aragua, con sede in La Victoria, il quale sará affidato alla guida dell'Ingegnere Anna Rita Di Giampaolo.
Il Presidente Margiotta ha informato che, dopo un lungo colloquio con i rappresentanti dell'Ufficio Emigrazione della Regione Abruzzo all'Aquila, si é messo a contatto con il Consolato Generale d'Italia in Caracas per dare il via alle polizze di assicurazione di assistenza sanitaria ai corregionali di cittadinanza italiana in stato di bisogno, secondo verbale della Regione del 30 settembre 2008, che ha stanziato la somma di 80.000.00 euro. La Regione ha comunicato che l'erogazione delle polizze avverrá tramite il Consolato Generale di Caracas. Pertanto, Margiotta ha chiesto ai vari presidenti di presentare un elenco dei beneficiari residenti nelle diverse zone del Paese.
Si é parlato della nuova Giunta Regionale, facendo gli auguri sia al Presidente Gianni Chiodi che all'Assessore Regionale per l'Emigrazione Mauro Febbo ed é stato ricordato che prossimamente si dovranno eleggere i nuovi rappresentanti al CRAM. Il Presidente ha inoltre chiesto alle Associazioni di rinnovare le proprie Giunte Direttive, cercando di includere dei giovani, oltre alla presentazione della lista dei soci che compongono i vari sodalizi. Infine ha chiesto la presentazione delle attivitá a realizzare nell'anno 2009 di ogni Associazione.
Altro annuncio importante, l'inaugurazione della pagina web della Federazione, www.fedeabruzzoven.com, che marca l'inizio di una nuova era nella comunicazione dell'associazonismo in Venezuela con proiezione a livello mondiale. Per l'occasione é stato presentato un prototipo di scheda di iscrizione alle Associazioni, che servirá come censimento per stilare una statistica nazionale sull'abruzzese e i discendenti residenti in Venezuela, due novitá che hanno interessato tutti i presenti.
Con l'entrata delle nuove Associazioni é stato allargato il nuovo Comitato Giovanile Nazionale Abruzzese e in merito sono stati annunciati due importanti eventi che verranno organizzati dalla Federazione, ed é quello del Congresso Nazionale dei Giovani Abruzzesi in Venezuela entro la fine dell'anno e dulcis in fundo, l'elezione di Miss Abruzzo in Venezuela. Ogni Associazione dovrá eleggere la propria Miss e tra le dieci rappresentanti sará eletta quella definitiva che potrebbe partecipare a Miss Italia nel Mondo.
Conclusa l'Assemblea, dopo aver ascoltato a sorpresa il Coro dell'ULA, invitato da Vincenzo La Rocca, il Centro Italo ha offerto un pranzo squisito accompagnato da un tastierista italiano. Nel pomeriggio, secondo programma, visita alla cittá, e alle 8 di sera l'assistenza al ricevimento offerto dal Governatore dello Stato Merida e gentile signora nella loro residenza. Una serata indimenticabile. Le note degli inni nazionali italiano, venezuelano e meridegno suonate dall'Orchestra Sinfonica di Merida, precedevano l'atto protocollare: il Presidente Margiotta e il Vicepresidente Aldino Rasetta, a nome della Federazione delle Associazioni Abruzzesi in Venezuela e dalla comunitá italiana locale, consegnava all'ecc.mo Governatore Dr. Marcos Díaz Orellana, persona molto gradita e amata in tutti gli ambienti dello stato andino, una targa in riconoscimento alla sua generositá e impegno a favore dei bisognosi e quindi anche dei nostri connazionali e corregionali. Stessa motivazione, veniva consegnata dal Vice Console Dr. Lorenzo Morello una targa alla Prima Dama Alessandra Agostinelli in Díaz, che si é commossa lasciandosi scappare qualche lacrima.
Al ricevimento é stato invitato a partecipare anche il giornalista Gianfranco Di Giacomantonio, realizzando un'intervista al Governatore che verrá trasmessa su Abruzzo24ore.tv (www.abruzzo24ore.tv) Il Governatore si é dichiarato ben disposto ad un gemellaggio con la Regione Abruzzo e da qui subito si é messa in moto l'organizzazione per un evento cosí importante che verrá siglato con un dialogo in diretta, tra il Dr. Díaz Orellana e il Presidente abruzzese Gianni Chiodi. L'ampia disponibilitá del Governatore andino, la squisita ospitalitá della Prima Dama (da ricordare che é di origini abruzzesi), hanno sollevato un gran interesse visto che iniziative di interscambi culturali sono giá in programma tra Regione e Regione del Venezuela e, piú importante, ci potrá essere un'apertura commerciale con gli imprenditori abruzzesi e italovenezuelani. Tanto l'entusiasmo da parte dello stesso Governatore, il quale ha promesso di voler partecipare alla prossima Assemblea della Federazione programmata nella cittá di Valera.
(www.culturalitaliano.com)
Germana Pieri, L'ITALO, Maracaibo, Venezuela

domingo, 1 de febrero de 2009

Il mondo salvato dai contadini

di Silvia Pérez-Vitoria
In questi ultimi tempi si è parlato molto di crisi alimentare, di rivolte della fame. Gli esperti, dottamente, si sono messi ad esaminare questa agricoltura che pareva malata. I rimedi erano sempre gli stessi, più investimenti, più tecnologia, più mercato. Andava ricordato loro che è proprio così che si è arrivati a questa agricoltura che distrugge più di quanto non produca; questa agricoltura industriale che compatta e salinizza i terreni, riduce la biodiversità, spreca l’acqua, inquina e non dà abbastanza da mangiare agli abitanti della Terra.Avete notato che i signori esperti hanno tralasciato la cosa più importante, non hanno parlato di coloro che hanno sempre mantenuto la vocazione nutritiva della Terra: i contadini? È stato fatto di tutto per cercare di farli scomparire, questi contadini. Tutti i mezzi erano buoni: politiche economiche, progresso tecnico, devalorizzazione dei saperi, denigrazione. Ed è stato fatto di tutto per trasformare quelli che restavano in coltivatori. Avevano bisogno di trattori, di prodotti chimici per aumentare i rendimenti, di Borse per fissare il prezzo dei loro prodotti. Ma non ci sono riusciti, gli esperti, e i contadini sono ancora la metà dell’Umanità. Vorrei inoltre ricordare di cosa siamo debitori ai contadini:- di aver mantenuto le condizioni che ci permettono ancora di nutrirci- le terre, le semenze, le varietà di piante e animali- della diversità dei paesaggi, della varietà e del buon sapore della frutta e della verdura che mangiamo- di averci trasmesso i valori fondamentali del vivere collettivo, come l’aiuto reciproco, la gratuità e l’autonomia- di aver trasmesso i saperi e le competenze che ci permetteranno, forse, di porre riparo ai danni provocati dall’industrializzazione dell’agricoltura- di essere un polo di resistenza fra i valori che ci travolgono: la corsa al profitto, il consumismo, la concorrenza (la ricerca degli equilibri necessari al mantenimento delle agricolture contadine, l’equilibrio con la natura, negli scambi, con i membri della società, sono punti di forza preziosi)- semplicemente non di esistere ancora, ma di esistere sempre.Posso passare per un’idealista, per una che si rifiuta di vedere le aspre lotte che agitano le campagne: per la terra, per i mercati, per i prezzi. Chi lavora la terra vive nella società di oggi e non può sfuggire alle pressioni che subiamo tutti, è naturale. Ma la sua resistenza è molto reale. In tutto il mondo sono nati dei movimenti contadini. Si chiamano Via Campesina, Movimento dei senza terra in Brasile, Movimento zapatista in Messico, Marcia Janadesh in India: creano reti di semenze, rivendicano le terre per produrvi coltivazioni alimentari, lottano contro gli Ogm, recuperano i saperi e fondano università di agroecologia, si battono per la sovranità alimentare dei loro popoli.PIANTARE I SEMISono tutte questioni che ci riguardano tutti. Di recente è stato realizzata in Norvegia una banca di semenze congelate, pare, per preservarle; ma le semenze sono esseri viventi ed è solo seminandole che possono continuare a riprodursi. Quando la finiremo di distruggere le terre agricole coprendole di autostrade e zone industriali e commerciali sporche e inquinanti? Come possiamo accettare che gli Stati vendano le loro terre alle multinazionali che vi coltiveranno, come vogliono, agrocarburanti o alimenti per chi se li può permettere, mentre i loro popoli non possono nutrirsi adeguatamente? Siamo pronti ad accettare che alcune multinazionali controllino, attraverso i brevetti del vivente, quello che mangeremo? Restiamo indifferenti di fronte alla scomparsa di tre quarti della diversità genetica delle piante coltivate nel corso del ventesimo secolo? Non ci preoccupa un’alimentazione tossica che va a scapito di cibo sano e gustoso? Se vogliamo vivere, abbiamo bisogno dei contadini.Lo scorso ottobre 2008 ho partecipato alla quinta conferenza internazionale di Via Campesina, il primo movimento internazionale contadino, che si è svolta a Maputo, in Mozambico. Erano presenti quasi 600 persone, fra uomini e donne, che rappresentano circa i trecento milioni di contadini di tutto il mondo. Per una settimana hanno riflettuto insieme sul modo di preservare la natura e la biodiversità, di mantenere la maggior varietà possibile di semenze, di lottare contro coloro (multinazionali e Stato) che cercano di distruggerle, di recuperare le terre delle quali vengono defraudati, di rilocalizzare la produzione agricola. E siamo debitori anche per questo loro lavoro, che i poteri dominanti riconoscono solo con l’indifferenza o la repressione. Perché nel mondo si continuano a uccidere i contadini che vogliono continuare a restare contadini. Tendiamo a dimenticare anche questo.Nelle università e nelle scuole di economia, uno dei criteri per misurare lo sviluppo è il basso numero di contadini, a riprova, se ce n’era bisogno, dell’aberrazione di questa nozione di sviluppo. Penso che convenga invertire questa proposizione. Di fatto, più contadini ci sono in una società, più probabilità avrà la società di sopravvivere. Da questo punto di vista, nei nostri Paesi, resta ancora molto lavoro da fare.
Traduzione di Francesca Novajra