viernes, 17 de septiembre de 2010

Le lezioni di Calvino oggi non bastano più

Ha saputo individuare i problemi della contemporaneità ma non indicare soluzioni. Per queste dobbiamo cercare altrove

Quando nella notte tra il 18 e il 19 settembre di venticinque anni fa Italo Calvino si spense nell'Ospedale di Siena, dopo che i medici avevano inutilmente tentato di salvarlo operandolo alla testa, lo scrittore ligure era arrivato quasi al culmine della sua popolarità e fama. In quei mesi era intento a redigere le sue Lezioni americane, da tenersi di lì a poco ad Harvard, il cui sottotitolo era «sei proposte per il prossimo millennio». In quelle lezioni si va dalla «leggerezza» alla «molteplicità», toccando l'esattezza, la rapidità e la visibilità. La sesta lezione sarebbe stata intitolata Consistency, coerenza. Calvino non ha fatto in tempo a scriverla, ma restano degli appunti, e si sa che si sarebbe riferita a un racconto di Melville, Bartleby.

Oggi che molte delle sue previsioni intellettuali, per quanto riguardanti in primis la letteratura, sembrano essersi avverate - la leggerezza è una delle parole passepartout del postmoderno -, forse la conferenza che ci sarebbe servita di più è quella sulla «coerenza». Bartleby, il personaggio della novella, è un impiegato di Wall Street; lavora presso un avvocato e trascrive atti giudiziari. Se non che, a un certo punto, smette di farlo, e oppone alle richieste del suo principale una frase: «Avrei preferenza di no». Un modo manierato per sottrarsi a ciò che gli è richiesto. Il racconto, che è diventato oggetto di commenti di tanti scrittori e filosofi (da Deleuze ad Agamben, da Borges a Perec), finisce tragicamente con Bartleby che si ritira su se stesso, ostinato, costringe l'avvocato a cambiare studio, resta lì, e infine messo in prigione muore d'inedia.

In questa lezione mancante si concentra tutta l'attualità e l'inattualità di Calvino, il suo appartenere allo stesso tempo al XX secolo e al XXI: un autore della transizione. Il narratore sorgivo del Sentiero dei nidi di ragno e quello riflessivo di La giornata di uno scrutatore, nonché di Palomar, è stato uno degli scrittori per cui all'idea di letteratura si accompagnava anche quella di un impegno per creare una società più giusta. Pasolini, Sciascia, Volponi, Morante, ma anche Manganelli, sono stati antifascisti, iscritti o simpatizzanti del Partito comunista, in altre parole degli intellettuali-scrittori (non scrittori-intellettuali), che hanno fatto della letteratura uno dei punti fondamentali della loro attività. Narratori, certo, ma anche saggisti, polemisti, presenti sui giornali, nelle riviste, dediti alla politica in senso forte. Prima intellettuali e poi letterati, senza piegare la letteratura alle ragioni di partito. Ma pochi anni prima che Calvino morisse, qualcosa è cambiato di colpo.

La letteratura, come questi scrittori la concepivano, è finita. Nasceva qualcosa di diverso sul piano sociale, e dunque anche letterario. A spiegarlo è un altro scrittore, forse l'unico erede di Calvino, e proprio per questo divergente da lui: Gianni Celati. È Celati a far conoscere a Calvino la novella di Melville, e anche Wakefield, il racconto breve di Hawthorne, altro riferimento di Consistency.

In entrambe le storie ci sono due personaggi che si sottraggono alla relazione sociale - lavorativa in Bartleby e famigliare in Wakefield -, alle convenzioni, in nome di una coerenza che trae il proprio fondamento da un disincanto che si è installato nella vita sociale. Con la morte di Moro e l'inizio degli anni Ottanta inizia il cosiddetto «riflusso», va in crisi la politica tradizionale, c'è la fuga dall'impegno. Finisce il mondo di cui Calvino era uno degli interpreti più ariosi, leggeri, e insieme intensi. La società umana, quella italiana, non sa più bene su cosa si fondi il legame che tiene insieme gli individui. Calvino sta su questa soglia e per molti aspetti non sa più che pesci pigliare, come si vede molto bene nei racconti di Palomar. La sua crisi era già iniziata, e si annunciava lunga e complessa.

Forse non aveva più, nonostante la sua indubbia intelligenza gli strumenti adatti per interpretare il cambiamento. Per questo si era rivolto nel 1968 a Celati, il suo Marco Polo, il viaggiatore, mentre lui retrocedeva al ruolo di Kublai Kan, il vecchio imperatore immobile delle Città invisibili, il suo capolavoro, ma anche il suo punto più alto di scacco. Tuttavia Celati non era bastato, e neppure più i vecchi e nuovi maestri parigini. All'inizio degli anni Ottanta Calvino era un intellettuale-scrittore in panne, il cui motore, perfetto e oliato, girava a vuoto. Era sospeso nel vuoto della fine del XX secolo. Somigliava sempre più a Bartleby, e come lui incarnava un lutto; e l'accentuarsi del suo manierismo letterario era anche la conseguenza del suo «avrei preferenza di no».

Ora non sappiamo cosa avrebbe scritto riguardo alla «coerenza», però un'ipotesi, seguendo il suo Marco Polo, si può formulare. Bartleby, ha scritto Celati, è la figura che pone il problema delle sacche di estraneità che si formano all'interno della vita sociale. Problema che nasce con la nascita delle grandi masse anonime nella vita urbana, «dove non si possono più nascondere le distanze assolute che separano gli individui». La solitudine è l'esperienza fondamentale della contemporaneità su cui s'innestano, pur nella loro diversità, sia il fascismo novecentesco sia il Grande Fratello. Calvino sta al di qua di questa soglia, indica il problema, ma non fornisce soluzioni. Un grande scrittore, senza dubbio, un grande moralista, e insieme un agilissimo saggista. Ma per andare avanti non basta più, bisogna cercare altrove. Dopo Calvino.

MARCO BELPOLITI

jueves, 16 de septiembre de 2010

Fotografo di Luther King era una spia

Rivelazione shock da Memphis: l'autore dei celebri scatti sulle marce per i diritti civili, afroamericano e amico del leader, lavorava per l'Fbi

La doppiezza privata di un uomo svuota anche le sue opere? Le immagini, le emozioni, le idee che costruisce intorno a una passione, a una causa, e che ispirano milioni di altri uomini, si svuotano se questo uomo poi vende, tradisce, in privato, quella stessa causa?

Oppure c'è una netta distanza tra il prodotto e il suo stesso creatore, una sorta di filo del rasoio della coerenza, un varco che è meglio non attraversare? Insomma può un debole uomo essere anche un grande uomo, un eroe, un artista – e se sì, come lo si giudica? Con quale lato della sua vita?

La storia è piena di queste domande. La storia del secolo alle nostre spalle, in particolare, con le sue forti ideologie e i suoi milioni di morti. Secolo di ambiguità da cui davvero pochi sono emersi puri. Il premio Nobel Günter Grass, con la sua gloriosa scrittura e la sua tardiva ammissione di aver militato nelle Waffen-SS, è ancora lì nell'anticamera del nostro scontento, nell'incertezza di un giudizio che lacera il nostro bisogno di sicurezza. Ed ecco che gli archivi, questi cerberi della verità fattuale, vomitano una nuova sconcertante versione. Intaccando una storia finora considerata tra le più perfette, le più sante, del nostro passato recente: il movimento per i diritti civili in America.

Il quotidiano The Commercial Appeal, autorevole giornale di Memphis, Tennessee, ha trovato le prove che Ernest C. Withers, fotografo e amico di Martin Luther King, celebre e celebrato biografo della lotta dei neri americani, era in realtà una spia dell'Fbi, identificato dal Bureau come «confidential informant number ME 338-R». Per ora ci sono 360 pagine che raccontano la doppia storia di quest'uomo. Ma molte altre - secondo il giornale, che ha ottenuto gli atti attraverso il Freedom of Information Act con una richiesta del 2007, dopo la morte del celebre fotografo - sono ancora coperte da segreto. A leggere cinicamente il racconto del quotidiano, non si può che elogiare l'abilità dell'Fbi: se c'era un uomo che aveva accesso a tutto e a tutti, dentro la comunità nera di quegli anni, questo era proprio lui, Ernest Withers.

Era lì, con il reverendo King, nelle ultime ore della sua vita, e arrivò per primo a fotografarlo, unico giornalista che ebbe accesso alla stanza dove il leader dei diritti civili giaceva riverso nel sangue. Lo stesso Withers avrebbe raccontato come, dopo lo sparo, arrivò nella stanza 306 del motel Lorraine e cominciò scattare, mentre la polizia teneva lontani tutti gli altri. Intorno a King morto ci sono Bernard Lee, con la cravatta allentata, il giovanissimo Andrew Young che segnala con la mano di stare tutti calmi, e Ben Hooks e Harold Middlebrook che guardano nel vuoto. A terra c'è la borsa con i documenti di Luther King. È il 4 aprile 1968. Il rapporto dell'Fbi letto dal quotidiano porta la data di pochi giorni dopo quello stesso mese, quello stesso anno, il 10 aprile 1968.

Nelle pagine c'è la prova del peggiore dei tradimenti: il fotografo che seguiva passo per passo il reverendo aveva riportato al Bureau ogni minuto delle attività del leader fino al suo assassinio, e anche dopo. Withers racconta agli agenti del governo americano dell'incontro che King aveva avuto con militanti neri sulla lista dei sospetti dell'Fbi, e dopo l'uccisione racconterà a quegli stessi agenti tutti i dettagli del funerale. Il suo lavoro continuerà fino almeno al 1970, e sarà accreditato dal Bureau come rilevante nell'identificare e smantellare il lavoro dei gruppi di neri più radicali che alla fine degli anni Sessanta cominciarono a sfidare le tattiche sociali e pacifiste del movimento dei diritti civili.

I dettagli del tradimento sono tanti. Ma molte di più sono ora le domande che questo tradimento ha suscitato. Perché lo fece? Per soldi, dicono alcuni – l'uomo aveva molti figli e pochi mezzi. C'è chi dice che forse il suo fu il cedimento a un ricatto: da giovane pare fosse stato coinvolto in una vicenda di illegalità che gli venne poi perdonata.

Ma nessuna di queste ragioni davvero spiega nulla. Forse la radice di questa ambiguità va ricercata nel clima di quegli anni, che certo non furono né semplici né lineari come oggi li preferisce ricordare la versione ufficiale. La comunità nera era profondamente divisa - negli obiettivi, nei metodi e, anche, nelle ambizioni. Martin Luther King fece un miracolo nell'unificare un movimento, e il destino successivo del gruppo che per un breve periodo si formò intorno a lui è la dimostrazione a posteriori delle diversità di visioni che sotto la guida di King continuavano a scontrarsi.

In questo senso, Withers è forse oggi il caso più clamoroso. Ma certo non è stato l'unico. La storia del movimento per i diritti civili ha un lato oscuro, come oscuro è il lato di molti episodi non del tutto spiegati della storia degli Usa. La scoperta dell'attività del fotografo rilancia molte domande che forse sono state troppo spesso lasciate senza risposte. Non è un caso che il giornalista del quotidiano The Commercial Appeal abbia cominciato la sua ricerca sulla base delle teorie del complotto che da sempre circondano la morte di King. Una di queste teorie fu proposta proprio dall'uomo che lo uccise, James Earl Ray, che continuò a chiedere all'opinione pubblica Americana perché la famosa sorveglianza con cui l'Fbi seguiva King fu improvvisamente sospesa proprio in quell'aprile del 1968.

La comunità nera si domanda cosa fare ora di questo eroe. Andrew Young ieri si è espresso con pena e moderazione su di lui, dicendo che i suoi errori non cambieranno il valore di quello che ha fatto.

Ma l'assoluzione non basta, e non consola. Soprattutto se si guarda oltre la vicenda e si pensa all'oggi. Quanti Ernest Withers ci sono, in questo momento, in questa epoca di terrorismo, in circolazione negli Stati Uniti e nel mondo?

Lucia Annunziata