miércoles, 14 de enero de 2009

Anteprima, Giorgio Montefoschi esplora Roma e la sua borghesia nel boom economico

Le due ragazze con gli occhi verdi» è un romanzo coraggiosamente controcorrente. Giorgio Montefoschi viene infatti recuperando, nel corso d'una vicenda in continuo crescendo emotivo, i valori fondanti della famiglia e della coppia. Primo, fra tutti questi, la fedeltà che il lettore vedrà mettere alla prova dagli imprevisti del destino, dai capricci della vita. Protagonista, lungo tutto l'arco della vicenda, è Pietro Angeli.
Intorno a lui si muove una famiglia dell'agiata borghesia romana, residente in un elegante villino del quartiere Parioli. Quando ci viene incontro, nel lontano 1956, Pietro è un acerbo adolescente in vacanza a Nettuno. La mamma, il papà e l'amatissimo nonno Cesare sono tutto (o quasi) il suo orizzonte. Montefoschi scrive queste pagine come una sorta di prologo, destinato a illuminare un insieme famigliare, i suoi componenti. I fatti, che animeranno l'intreccio, iniziano esattamente dieci anni dopo. Nell'ottobre 1966 s'incrinano infatti, in conseguenza di un'avventura galante del capofamiglia, i rapporti fra i coniugi Angeli. Fatto ancora più importante, ai fini del racconto, il loro figlio Pietro inizia una «storia» con Laura Barbi, una splendida ragazza dagli occhi verdi. Figlia d'un noto professionista, forse un po' viziata, si lascia baciare affidandosi al comportamento eccitante, sostanzialmente insondabile di chi vuole, disvuole e insomma non sa decidersi.
In ogni caso, innamorato cotto, Pietro farà di Laura la ragione stessa della sua esistenza. Non tradirà mai, neppure per un attimo, una passione nata in lui con l'esuberante generosità della prima giovinezza. Laura a un certo punto lo respingerà, forse per capriccio, dicendogli senza troppi complimenti (a pagina 135) «non sono più innamorata di te». Passeranno circa vent'anni, frattanto lei si sposerà e metterà al mondo due figli. Nel 1988, quando inizia il terzo dei quattro blocchi temporali che scandiscono la narrazione, il caso fa rincontrare Pietro e Laura. Stavolta faranno sesso adulto, spogliandosi con la febbre nelle mani. Però... Laura, personaggio molto ben disegnato da Montefoschi, viene assumendo rilievo sentimentale e originalità in un logorante, a momenti crudele negarsi e poi concedersi e poi ancora negarsi mentre Pietro spasima. Sono queste centrali le pagine forse più forti d'un romanzo che non ha paura della parola «amore», usandola senza censure o timidezze intellettualistiche. Senza voler compiacere cioè quelle mode che sembrano prediligere i sentimenti estremi, disordinati, conseguenti a un nichilismo di maniera. Intanto gli anni, trascorrendo veloci, compiranno puntuali la loro opera distruttiva e costruttiva a un tempo.
Ci saranno funerali, matrimoni e battesimi. «Una brutta malattia», come lei la definirà durante uno degli ultimi incontri con Pietro, stroncherà Laura. Spetterà dunque a sua figlia Maria (dagli occhi belli come quelli della mamma?) far battere per l'ultima volta, quasi alle soglie dell'anno 2000, il cuore ormai stanco del protagonista... Montefoschi, come il suo amato Moravia, in Le due ragazze con gli occhi verdi (Rizzoli) scrive di Roma e della borghesia. Molte cose, però, sono cambiate. Basti dire che i vent'anni dell'autore degli Indifferenti coincisero con l'incombere della dittatura fascista, quelli di Montefoschi sono coincisi con l'era democristiana. Nella casa, dove Pietro Angeli trascorre la giovinezza, il lettore ritroverà (e non è certo motivo di poco interesse) umori, sentimenti, atmosfere che risentono, sia pure in modo indiretto, della temperatura morale riscontrabile nell'Italia del miracolo economico.
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Sono proprio quegli anni, l'atmosfera che si respirava all'epoca nelle case dei quartieri alti, a spiegare come e perché i personaggi di questo romanzo vivano noncuranti della politica, lontani dalle problematiche civili. Pietro Angeli, in particolare, è un «uomo senza qualità » che cerca nell'amor passione e nel sentimento il senso della vita senza però avere l'impressione di trovarlo. Quella che si lascia dietro è alla fine una dolce, coinvolgente nostalgia della famiglia quale porto di duraturi e sereni affetti.

Antonio De Benedetti14 gennaio 2009

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